Diffusione del Covid-19, quando si configura il reato

Il Covid-19 ha colpito il mondo intero e ha richiamato l’attenzione degli operatori del diritto in merito alla riconducibilità, in una qualche fattispecie di reato, della condotta di un soggetto che, se positivo, disattendendo il divieto di circolazione, cagioni un’epidemia mediante la consapevole diffusione.

Il legislatore, sin dal momento della stesura del codice penale, ha previsto, a tutela della salute pubblica, la punibilità di tali condotte mediante due fattispecie criminose che si differenziano per l’elemento soggettivo.

Reato di epidemia

L’art. 438 c.p., rubricato “reato di epidemia”, punisce a titolo di dolo la condotta di chi, con coscienza e volontà, diffonde germi patogeni. Trattandosi di condotte causalmente orientate, viene fuori che potrebbe essere tipico qualsiasi comportamento idoneo a diffondere l’epidemia che presenti il carattere della contagiosità. Stante la difficoltà nel perimetrare la tipicità della condotta di epidemia e vista la genericità del dettato normativo utilizzato dal legislatore, la giurisprudenza ha tracciato dei criteri affinché la fattispecie possa dirsi integrata.

In primo luogo, essendo un reato di pericolo presunto, in cui il pericolo per la pubblica incolumità non è espressamente menzionato dal legislatore tra gli elementi costitutivi del reato, è necessaria una condotta che “è di per sé dotata di una carica diffusiva da far ritenere altamente probabile la creazione di una fonte di pericolo per un numero indeterminato di persone, ancorché in concreto aggredite” ( Fiandaca-Musso). Il pericolo per la pubblica incolumità è riconducibile alla potenzialità espansiva della malattia contagiosa, richiedendo “la preventiva verifica circa la causazione di un evento dannoso per un certo numero di persone, ricollegabile, sotto il profilo causale, alla condotta tenuta dal soggetto agente”( Tribunale di Trento n.1231/2004) ,  “non è sufficiente un evento super individuale, generico e completamente astratto, ossia avulso dalla verifica di casi concreti casualmente ricollegabili alla condotta del soggetto agente, ciò che porterebbe a confondere il concetto di evento con quello di pericolo”( Cass., n. 945/1979).

Diffusione del virus “con colpa”

Per quanto riguarda l’art 452 c.p., quest’ultimo punisce chi, con colpa, commette alcuno dei fatti preveduti dagli art.438 e 439 c.p.

In tale fattispecie di reato, ai fini della stessa configurabilità, è necessario che vi sia stata imperizia, imprudenza o negligenza, che dovranno valutarsi in rapporto alla qualifica e all’attività in concreto svolta dall’agente, in forza della quale verrà commisurato il modello di diligenza media. La ratio legis, posta alla base della norma in parola, è quella di estendere e rafforzare la tutela del bene della salute pubblica, il cui titolare è esclusivamente lo Stato. (Cass. Pen., n.4878712). A ciò si aggiunge che, ai fini della punibilità, sarà sufficiente che le condotte poste in essere presentino l’attitudine a produrre nocumento alla salute pubblica, in quanto va annoverato nella categoria di reati di pericolo e non di danno.

Alla luce di quanto premesso, entrambe le fattispecie incriminatrici, per tutti i problemi evidenziati, soprattutto sul piano materiale in punto di tipicità, risultano di difficile applicazione, così da rendere necessario l’intervento, ancora una volta, degli interpreti al fine di garantire maggiore certezza.

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