Diffusione del virus Covid-19: è sempre reato?

I recenti fatti di cronaca, a seguito del proclamato lockdown, adottato in Italia, per contrastare la diffusione del virus Covid-19, impongono talune riflessioni sulla fattispecie del reato di epidemia.

Sul piano giuridico l’epidemia ha, difatti, riflessi in ambito penale, civile e non solo.

Sul piano penale

Il reato di epidemia è disciplinato dall’art. 438 c.p. a mente del quale:

[I]. Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo [448, 452].

[II]. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte] (1).

[Com’è noto, la pena di morte, per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d. lg. 22 gennaio 1948, n. 21].

Il reato è previsto anche in forma colposa

L’art. 452 c.p. richiama espressamente l’art. 438 c.p. laddove, per l’appunto, dispone:

[I]. Chiunque commette, per colpa [43], alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:

2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo;

La fattispecie di reato in esame punisce il comportamento di chi - attraverso la diffusione di germi patogeni - causa una epidemia. Evidente il fine: evitare che soggetti, contagiati da malattie infettive, possano, col proprio comportamento - doloso o colposo - contagiare altri.

Il bene protetto è la salute pubblica e titolare di esso è esclusivamente lo Stato; deve, pertanto, “escludersi che possa rivestire la qualità di persona offesa di tali reati un'associazione privata”. (tra tutte, Cassazione penale, sez. I, 26/10/2012, n. 4878).

Discussa, in dottrina, la natura “di danno” o “di pericolo” del reato

Di regola, poi, si esclude il reato di epidemia, a titolo di omissione, stante la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” di cui all’art. 438 c.p. richiedendosi “una condotta commissiva a forma vincolata” incompatibile, perciò, con il disposto di cui all’art. 40, comma 2 c.p., a sua volta, applicabile, unicamente, alle fattispecie di reato a forma libera (così  Cass. sez. penale IV 12.12.2017 n. 9133, depositata in data 28.02.2018, ma già Cass. Pen., sez. 01, del 23/09/2013, n. 43273 Cass. Pen., sez. 06, del 08/04/2016, n. 28301);

Orbene, non sono rimaste isolate le ipotesi di reato di epidemia colposa ravvisate nel comportamento di chi, a conoscenza della propria positività al Covid19, contravvenendo al divieto di circolazione (a seguito del provvedimento reso dall’ASP di isolamento domiciliare obbligatorio reso ex artt. 2 DPR del 04.03.2020 e 2 DPC 08.03.2020 e ss.) si è recato al supermercato ovvero in altri luoghi pubblici.

Al di là dei fatti di cronaca riportati, non sempre è facile ravvisare, nei comportamenti predetti, gli elementi essenziali del reato.

La violazione del divieto di isolamento domiciliare, di chi è positivo al Covid-19, non determina, di per sé, la sussistenza del reato.

Occorre, difatti, una attenta analisi delle fattispecie concrete: chi affetto da HIV, omette di informare la persona con cui ha una relazione sessuale e non adotta precauzioni volte ad evitare il contagio è certamente chiamato a rispondere del suo comportamento quantomeno ai sensi dell’art. 582 c.p. (lesioni) e laddove il numero dei contagiati risultasse ingente potrebbe configurarsi il reato di epidemia per la cui sussistenza è necessaria, però, la presenza di altri, ulteriori, elementi individuati dalla giurisprudenza: l’arco temporale della “diffusione di germi patogeni”, il “luogo” di diffusione, la moltitudine delle persone infettate.

Ciò posto, altro è il comportamento di un soggetto che, a conoscenza della propria positività, decide deliberatamente di uscire di casa per recarsi in un ambiente, chiuso, frequentato da più persone (elementi questi che da soli, di per sé, non escludono, né integrano la sussistenza del reato) altro è il comportamento di chi - pur violando il divieto in esame - esce di casa, magari in tarda notte, al solo scopo di liberarsi della spazzatura (elementi questi che di certo escludono, a priori, la configurabilità del reato).

E’ evidente che, in questo ultimo caso, la fattispecie di reato non potrebbe consumarsi per assenza dei suoi elementi tipici in perfetta armonia con l’operatività del disposto di cui all’art. 49 c.p..

Non pare azzardato, poi, rilevare che l’esigenza di liberarsi della spazzatura potrebbe fungere, financo, da esimente ex art. 54 c.p..

Si rammenta che nella provincia di Palermo la spazzatura, di chi è sottoposto ad isolamento domiciliare, veniva smaltita, nella prima ondata del contagio, con prelievo domiciliare, solamente una volta a settimana; servizio ad oggi del tutto sospeso.

Nulla quaestio sulla opportunità dell’azione penale nei confronti di chi - consapevole di avere contratto il coronavirus - decide, deliberatamente, di uscire di casa, in pieno giorno, in luoghi frequentati da altre persone.

Il sopravvenire dell’evento morte delle persone contagiate integra - con riguardo al delitto di epidemia - una circostanza aggravate, priva di significato sostanziale, stante l’abolizione della pena di morte (d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d. lg. 22 gennaio 1948, n. 21).  

La giurisprudenza, per evidenti motivi, si è pronunziata su fattispecie diverse.

Il reato è stato escluso tutte le volte in cui “l'insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscano nell'ambito di un ristretto numero di persone che hanno ingerito un pasto infettato dal germe della salmonella.” (Tribunale Savona, sez. uff. indagini prel., 06/02/2008).

E’ stato condannato, per il delitto di lesioni personali gravissime, il soggetto che: “…… abbia consapevolmente trasmesso il virus Hiv tramite rapporti sessuali non protetti a numerose donne” mentre si è escluso il delitto di epidemia sul presupposto che: “……., l'evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione; ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, sebbene di per sé non estranee alla nozione di "diffusione di agenti patogeni" di cui all'art. 438 c.p., non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno. Annulla, in parte, con rinvio, CORTE ASSISE APPELLO ROMA, 11/12/2018 Cassazione penale, sez. I, 30/10/2019, n. 48014).

Nello specifico caso l’imputato aveva consapevolmente trasmesso il virus dell'HIV, da cui era affetto, ad una trentina di donne (37 esattamente) con le quali aveva avuto rapporti sessuali non protetti nel corso di un periodo di nove anni. Il numero cospicuo, ma non ingente, delle contagiate, l'ampiezza dell'arco temporale in cui si era verificato il contagio, unitamente al numero altrettanto cospicuo di donne che, pur congiuntesi senza protezione con l'imputato, non era rimasto infettato, hanno portato il Decidente ad escludere la fattispecie del reato il difetto della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico rappresentato dalla facile trasmissibilità della malattia ad un numero potenzialmente sempre più elevato di persone.

In passato, poi, secondo parte della giurisprudenza di merito, l’espressione “diffusione di germi patogeni”, ai fini dell’astratta configurabilità del reato, richiedeva la disponibilità, in capo all’autore del reato, dei “germi patogeni”.

Sicché il reato non poteva ravvisarsi nel comportamento di chi “sapendosi affetto da male contagioso si mescoli alla folla pur prevedendo che infetterà altre persone”. Infatti, la norma - che per ragioni logiche, anche in vista del criterio storico, dev'essere interpretata restrittivamente - non punisce chiunque cagioni un'epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche "in vivo" (animali di laboratorio), mentre deve escludersi che una persona, affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l'affliggono. (Tribunale Bolzano, 13/03/1979).

Un’ultima annotazione si impone: la esistenza del reato postula la prova del c.d. rapporto di causalità. E la prova che il fenomeno epidemico è stato determinato dalla condotta dell’agente è pressoché impossibile. Il virus, difatti, si diffonde per via aerea e tale forma di trasmissione rende per lo più impossibile l’accertamento del nesso eziologico. Non è dato sapere, almeno per chi scrive, se tale prova possa emergere attraverso analisi filogenetica del virus.

 

Avv. Filippo Polizzi - Partner