Pratiche commerciali scorrette e truffa, evoluzione tra disciplina antitrust e diritto penale

Le pratiche commerciali scorrette poste in essere da un professionista, nei confronti di uno o più consumatori, sono una fattispecie autonoma di illecito disciplinata dal Codice del consumo.

L’art 3 del codice del consumo definisce il professionista come la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.

Dunque nel rapporto tra consumatore e professionista, così inteso, il primo è certamente considerato dal legislatore come soggetto più debole , in quanto quest’ultimo è spinto all’acquisto di prodotti anche grazie alla suggestione provocata dagli strumenti predisposti dal professionista. Ciò che può manifestarsi allora, soprattutto all’interno di contratti conclusi online, è la presenza di asimmetrie informative, e dunque un’asimmetrica distribuzione di informazioni tra venditore ed acquirente; tale pratica può verificarsi ad esempio, quando il venditore, pur rivelando informazioni che rendono un prodotto più appetibile a un potenziale acquirente, ometta altre informazioni che ridurrebbero il suo valore.

Una pratica commerciale è considerata scorretta e dunque vietata, se da una parte è contraria alla diligenza professionale e dall’altra è idonea a falsare il comportamento economico del consumatore medio, compromettendo dunque la libertà negoziale del consumatore stesso.

E’ indubbio allora come il professionista, in quanto parte forte del rapporto contrattuale, sia potenzialmente in grado di sfruttare la propria posizione predisponendo pratiche commerciali volte all’inganno, che spaziano dalla mera violazione dei principi di correttezza, buona fede e trasparenza, fino a degenerare in condotte delittuose penalmente rilevanti.

Si tratta dunque di una materia, che oltre ad essere sanzionata direttamente dall’art 27 del Codice del consumo, con competenza dell’AGCM nell’irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria da 5000 a 10000 euro, può assumere le vesti di un illecito penale, e nello specifico il reato di truffa, qualora i comportamenti posti in essere dal professionista integrino la fattispecie di cui all’art 640 cp e seguenti.

L’art 640 cp dispone infatti che “Chiunque con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1032 euro”.

Si tratta allora di una condotta che, attraverso l’inganno, induce la vittima ad autodanneggiarsi mediante la consapevole adozione di un atto dal quale deriva una diminuzione del suo patrimonio e un concomitante profitto del soggetto agente o di terzi.

In concreto dunque, un consumatore che risulti leso da una siffatta pratica, posta in essere da un professionista in ordine alla promozione, vendita o fornitura di beni e servizi, può ricevere tutela anzitutto in sede amministrativa attraverso apposita segnalazione all’AGCM, per la quale non sono richieste particolari formalità o versamenti. L’Autorità, che è dotata autonomamente di poteri investigativi ed esecutivi, può intervenire d’ufficio o su richiesta di un soggetto che vi abbia interesse. Grava invece sul professionista l’onere della prova, dovendo dimostrare dunque di aver agito con diligenza professionale e in buona fede.

D’altra parte, il medesimo soggetto che appaia pregiudicato da una tale condotta, può ricevere tutela anche in sede penale dinnanzi al giudice ordinario, nel caso di ricorrenza degli estremi previsti dal cp, dando il via dunque a un autonomo e distinto procedimento.

Mario Bellavista
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Antonio Giuffrè
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