Orario di lavoro : La normativa italiana

La normativa italiana in tema di orario di lavoro: straordinari, turni notturni, riposi e reperibilità.

La disciplina legislativa inerente all’orario di lavoro in Italia è contenuta nel D.lgs n. 66/2003, che recepisce la Direttiva Comunitaria n. 104/1993. Tuttavia, suddetta normativa rinvia spesso, per gli istituti in esame alla contrattazione collettiva in deroga alla contrattazione nazionale in materia di orario di lavoro, pur nel rispetto dei principi costituzionali e dell’Unione Europea.

LA DEFINIZIONE DI “ORARIO DI LAVORO” IN ITALIA

L’art. 1 del D.lgs 66/2003 identifica l’orario di lavoro in ogni periodo (arco temporale) in cui il lavoratore è (a) a lavoro, (b) a disposizione del datore di lavoro (c) nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. 

Affinché si possa parlare di disimpegno dell’attività lavorativa questa, pertanto, deve essere spazialmente e temporalmente inquadrata e deve essere caratterizzata dalla coesistenza dei tre elementi contrassegnati dalle lettere (a), (b) e (c).

La nozione di orario di lavoro, dunque, non coincide con il periodo temporale in cui il lavoratore presta effettivamente la propria attività lavorativa, in quanto risulta sufficiente essere a disposizione del datore di lavoro, nel posto di lavoro nel pieno delle proprie funzioni lavorative, perché l’attività del lavoratore possa essere inserita all’interno di un orario di lavoro e pertanto come elemento dell’esecuzione delle obbligazioni scaturenti dal rapporto sinallagmatico.

LA REPERIBILITÀ NELL’ORDINAMENTO ITALIANO E LE SUE IMPLICAZIONI

Si ha reperibilità nel nostro ordinamento, ogni qual volta il lavoratore, pur non prestando alcuna attività lavorativa, non essendo nella sede di lavoro e non attendendo alle funzioni proprie di lavoro, ha l’obbligo di essere prontamente raggiungibile dal datore di lavoro e prontamente disponibile a recarsi nel posto di lavoro per rendere la prestazione in caso di chiamata. Tale reperibilità comporta anche che il lavoratore, in ragione della tipologia dell’attività di lavoro astrattamente richiedibile, durante il periodo di reperibilità, non possa allontanarsi troppo dalla sede di lavoro al fine di garantire in tempi ragionevoli di prendere servizio.

La reperibilità, pertanto, si delinea come una disponibilità al lavoro del lavoratore al di fuori dell’orario di lavoro. L’istituto della reperibilità, pertanto, previsto dal contratto individuale o dal CCNL non è ricompreso nell’orario di lavoro e comporta una limitazione delle libertà del lavoratore qualificata come prestazione accessoria al lavoro che deve essere remunerata.

Il mancato riconoscimento da diritto ad un’azione di risarcimento per danno non patrimoniale la cui determinazione del quantum è derivata dall’incidenza sul mancato recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore. Ovviamente il diritto al riconoscimento dell’indennità economica si aggiunge alla corretta fruizione del riposo.

LA DEFINIZIONE DI “RIPOSO GIORNALIERO E SETTIMANALE”

Parlando di riposi dobbiamo distinguere tra riposo compensativo giornaliero e settimanale. Il riposo è un periodo di tempo al di fuori dell’orario di lavoro dove il lavoratore può reintegrare le proprie energie psico fisiche e dove può esprimere la propria personalità e svolgere la propria vita di relazione, familiare sociale. Sia il riposo giornaliero che quello settimanale sono diritti del lavoratore previsti dall’art. 7 del D.lgs n. 66/2003 e soprattutto garantiti dall’art. 2109 c.c. e dall’art. 36 Cost.

La normativa generale ora richiamata prevede, infatti, che il lavoratore possa fruire di riposi continui di almeno 11 ore nelle 24 ore. A questo, principio generale, vi sono però deroghe da parte di norme

di legge e dei CCNL tali che in alcuni contratti come quello degli autotrasporti è prevista la possibilità di cumulo del riposo frazionato purché vengano garantite le 11 ore di riposo ogni 24 ore. La contrattazione di primo e secondo livello con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative permette numerose deroghe ai principi generali ora richiamati, potendo intervenire sull’orario di lavoro e conseguentemente sui riposi compensativi, al punto che anche la previsione dell’obbligatorietà della previsione di cumulo tra riposo giornaliero di 11 ore e settimanale di 24 ore può essere derogata sulla base di accordi collettivi.

Oltre al riposo giornaliero, il lavoratore ha diritto al riposo settimanale nella misura di almeno 24 ore consecutive, ogni sette giorni lavorati e di almeno 35 ore con riguardo alla media nel periodo di 14 giorni. 

Generalmente, come noto, il giorno dedicato al riposo è (era) la domenica. Oggi, sempre più spesso, assistiamo per determinate categorie di lavoratori, alla previsione di giorni diversi dalla domenica e di deroghe alle superiori disposizioni. Questo capita soprattutto per i lavoratori in turnazione, per i lavoratori dei trasporti su rotaia, per i lavori frazionati.

Pertanto, quello che viene, presentato come un diritto costituzionalmente garantito non ha una natura rigida ben potendo la norma di cui al D.lgs 66/2003, la contrattazione collettiva nazionale e di prossimità (D.L. 138/2011 art. 8, cit.), prevedere deroghe per particolari categorie di lavoratori, in precise operazioni, per attività e settori merceologici purché venga rispettato il diritto al riposo e soprattutto alla salute psico-fisica del lavoratore.

La mancata fruizione dei riposi compensativi comporta un inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro, con diritto al risarcimento del danno. Si discute se il danno sia in re ipsa (Cass. Civ. Lav. n. 14719/2015) ovvero se, alla condotta datoriale illecita, debba aggiungersi l’assolvimento dell’onere della prova a carico del lavoratore in merito all’an ed al quantum (Cass. Civ. Lav. 2610/2008).

IL LAVORO STRAORDINARIO E LA NORMATIVA ITALIANA

La particolarità del lavoro straordinario è che, disciplinato dal CCNL o concordato nel contratto individuale di lavoro o in altro patto successivo deve essere richiesto a determinate condizioni ed autorizzato dal datore di lavoro. Il lavoratore non può effettuare lavoro straordinario senza autorizzazione datoriale e, in caso di accordo collettivo o individuale, non può rifiutarsi di rendere lavoro straordinario.

Il D.lgs n. 66/2003 prevede all’art. 5 la nozione di lavoro straordinario e disciplina i casi nei quali questo può essere richiesto dal datore di lavoro ovvero per particolari esigenze tecnico-produttive o per forza maggiore. La contrattazione collettiva può prevedere ulteriori cause per le quali si può ricorrere al lavoro straordinario. Come detto il lavoratore alle condizioni sopra chiarite non può rifiutarsi. Il rifiuto può costituire illecito disciplinare sanzionabile disciplinarmente.

Vi è un limite massimo all’orario straordinario che è di 250 ore annue e 48 ore di media settimanale. Limiti che possono essere derogati dai CCNL. Il lavoratore non può superare l’orario massimo previsto dalla norma o dai CCNL. La richiesta del datore di lavoro di effettuare lavoro straordinario oltre detti limiti costituisce ordine ingiusto in quanto posto in violazione delle previsioni contrattuali e degli accordi collettivi e determinerebbe un danno all’integrità psico fisica del lavoratore con violazione dell’art. 2087 c.c. Ne discende che astrattamente il lavoratore potrebbe rifiutarsi di assolvere ad un ordine illegittimo, ma poiché l’onere della prova grava esclusivamente sul lavoratore, risulta assai preferibile procedere ad una richiesta di risarcimento del danno oltre alla pretesa del pagamento delle maggiorazioni per il lavoro straordinario. La normativa citata, infatti, prevede che il lavoro straordinario abbia diritto ad una maggiorazione su base oraria, ma nei fatti la maggiorazione viene determinata dagli accordi collettivi.

IL LAVORO NOTTURNO

In relazione al lavoro notturno le norme a disposizione offrono le indicazioni per individuare il periodo che può essere definito “notturno” e in quali casi il lavoratore possa essere qualificato “lavoratore notturno” e in quale caso il lavoratore notturno abbia diritto alla maggiorazione della retribuzione per lavoro notturno come previsto dalla previsione di cui all’art 2108 c.c.

Anche in questo caso la normativa nazionale e l’interpretazione che ne ha fatto il Ministero del Lavoro, viene implementata dalla contrattazione nazionale. Tale che, nei fatti, i CCNL disciplinano ogni aspetto del lavoro notturno, del calcolo della maggiorazione, della previsione del lavoratore su turni che generalmente escludono la maggiorazione del lavoro notturno offrendo delle maggiorazioni la prestazione organizzata su turni a rotazione.

In ogni caso l’introduzione in azienda dell’orario notturno deve prevedere la preventiva consultazione sindacale. La consultazione non è prevista se l’orario notturno era già stato introdotto in azienda prima della previsione del D.lgs 532/99 poi sostituita dal D.lgs 66/2003.

Dovendo relazionare sui principi generali bisogna dire che la definizione di lavoro notturno deve essere ancorata all’arco temporale di 7 ore che va nel periodo mobile dalle 22 alle 7 del mattino seguente, così almeno disponeva l’art. 1 dell’abrogato D.Lgs n. 532/99. E per lavoratore notturno deve intendersi il lavoratore che disimpegni almeno tre ore di lavoro del proprio orario di servizio, all’interno di questo arco lavorativo di sette ore predeterminato ricompreso nella fascia oraria tra le 22 alle 7 del mattino successivo (tre ore nella fascia 22-5, 23-6 o 24-7) e che tale prestazione sia resa in modo continuativo.

Il lavoratore, a tutela della sua salute non può essere adibito a lavoro notturno per più di otto ore nella media 24 ore. La Circolare già citata n. 8/2005 del Ministero del lavoro, chiarisce che deve definirsi lavoratore notturno anche quel dipendente che, seppur non svolga stabilmente la propria prestazione nella fascia oraria notturna, presti la propria attività lavorativa per almeno 80 ore in ore ricadenti il periodo notturno.

I lavoratori notturni, stante la natura usurante della prestazione resa nelle ore notturne, devono essere sottoposti a visite periodiche al fine di accertare l’idoneità e il mantenimento dell’idoneità psico fisiche per poter continuare a rendere le prestazioni durate il periodo notturno. Vi sono tutele per le lavoratrici madri per le quali è previsto il divieto di prestare attività nella fascia oraria 24-6 dall’accertamento dello stato di gravidanza fino all’anno del bambino. Tali tutele su volontà della madre possono essere estese fino al compimento del terzo anno, e fino al 12 anno del figlio se il genitore (ance adottivo) è unico affidatario, ovvero se il lavoratore abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della L. 104/92.

Interessante appare approfondire questa tematica in quanto solo nel caso in cui la lavoratrice madre sia in gravidanza o con figlio fino al terzo anno, vige il divieto assoluto del datore di lavoro ad adibire la lavoratrice ad attività in orario notturno, negli altri casi previsti non vi è il divieto, ma la possibilità della lavoratrice/lavoratore di optare per non svolgere il lavoro notturno. La conseguenza non è di poco conto in quanto, in assenza di tutele specifiche del CCNL di categoria (che bisognerà esaminare caso per caso), qualora la/il lavoratrice/lavoratore opti per non svolgere il lavoro notturno il datore di lavoro dovrà acconsentirvi, ma nei limiti organizzativi. L’art. 15 del D.lgs n. 66/2003 prevede, infatti, che il datore di lavoro, in caso di esercizio dell’opzione per il lavoro diurno del “notturnista” come sopra qualificato, possa disporre l’assegnazione dello stesso anche ad altre mansioni equivalenti qualora disponibili. Ma cosa succede se all’interno dell’organizzazione aziendale non dovessero essere presenti tali mansioni? Parte della dottrina ritiene che in caso di impossibilità ad adibire il lavoratore/ lavoratrice a mansioni diurne di pari livello ancorché differenti, ovvero, in caso di impossibilità ad adibire a mansioni anche inferiori, la condizione del lavoratore/lavoratrice che opti per il lavoro diurno potrebbe essere parificata ad una sopravvenuta inidoneità alla mansione tale da determinare anche il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Bisogna, pertanto, prestare molta attenzione effettuando sempre scelte consapevoli.

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