La disciplina del rapporto tra azione penale e giudizio civile

Il rapporto tra azione penale e giudizio civile presenta profili giuridici di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico italiano, poiché la relativa definizione produce effetti con riferimento al principio della certezza del diritto. Con tale espressione si fa riferimento a quel valore cardine perseguito dallo Stato, volto a garantire la libertà dei cittadini e la loro eguaglianza davanti la legge, conferendo agli stessi la possibilità di valutare e prevedere le conseguenze giuridiche della rispettiva condotta.

Profili storici e normativa in evoluzione

La necessità di garantire la certezza del diritto assume particolare rilievo, tra le varie ipotesi, soprattutto in presenza di un determinato fatto che produce un danno nei confronti di un soggetto; un danno, questo, che può essere connotato quale illecito sia civile che penale. In tale prospettiva, il rapporto che si instaura nella duplice valenza appena indicata presenta caratteristiche diverse, sulla base del modello di riferimento considerato.

A conferma di quanto precisato, il codice di procedura penale italiano ha adottato, nel corso della sua evoluzione, due differenti impostazioni. Da un lato, la versione del 1930 si ispirava allo schema, di stampo francese, fondato sul:

  • principio dell’unitarietà della giurisdizione;
  • principio della preminenza del giudizio penale sul giudizio civile;
  • principio dell’efficacia erga omnes della sentenza penale.

La ratio sottesa a tale impostazione verteva, per l’appunto, sulla garanzia della certezza dei rapporti giuridici, evitando provvedimenti giurisdizionali contrastanti riferite al medesimo fatto. A titolo esplicativo, si pensi all’ipotesi in cui un individuo venga condannato dal giudice civile e, al tempo stesso, assolto da quello penale. Con riguardo, invece, al codice di procedura penale del 1988, la normativa in esso prevista – ossia quella ad oggi vigente – ha abbandonato l’approccio unitario tipico della precedente impostazione in favore del principio del “doppio binario, che stabilisce la separazione dei giudizi, a discapito della sospensione necessaria del processo civile sino al passaggio in giudicato di quello penale.

Il contenuto dell’art. 75 c.p.p.

L’art. 75 c.p.p. costituisce il riferimento normativo principale della disciplina che regola il rapporto tra l’azione penale e quella civile. Nello specifico, la disposizione in esame – per come formulata dal legislatore del 1988 – si struttura secondo le seguenti ipotesi:

  • trasferimento dell'azione civile nel processo penale;
  • separazione dei giudizi;
  • pregiudiziale penale nel processo civile.

Tale impostazione ha sostituito il precedente modello basato sulla necessità di evitare giudicati contradditori sul medesimo fatto, anche e soprattutto in conformità il sistema della sospensione per pregiudizialità di uno dei due processi.

In particolare, la precedente formulazione dell’art. 295 c.p.p. imponeva, in capo al Giudice civile, di sospendere il processo nell’ipotesi in cui la sentenza penale sugli stessi fatti potesse condizionare la sua decisione. Tale disposizione è stata modificata dalla Legge n. 353/1990, disponendo che il Giudice civile sospenda il processo “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Trasferimento dell’azione civile nel processo penale

L’art. 75, comma 1 c.p.p., disciplina l’ipotesi in cui il soggetto titolare di diritti intenda proseguire l’azione risarcitoria in sede penale, dopo averla instaurata dinanzi al Giudice civile. L’esercizio di tale facoltà, tuttavia, richiede il rispetto di determinate condizioni:

  • limite temporale, poiché il trasferimento è consentito solo se, nel processo civile, ancora non sia stata emessa una sentenza, anche non passata in giudicato;
  • identità della controversia, intesa quale necessità che il giudizio civile e quello penale abbiano lo stesso petitum e la medesima causa petendi;
  • rinuncia agli atti del processo civile, da non intendersi quale rinuncia all’azione, la quale potrà essere riproposta in sede civile, anche se trasferita nel giudizio penale.

Separazione dei giudizi

L’art. 75, comma 2 c.p.p. consacra la nuova impostazione, adottata nel 1988, con cui il rapporto tra giudizio civile e azione penale viene articolato, determinando il definitivo abbandono del principio dell’unitarietà giurisdizionale.

Nello specifico, la norma consente che il processo civile prosegue nel suo corso, anche nell’ipotesi in cui sussista un procedimento penale pendente. Nello specifico, viene sancita l’autonomia del giudizio, anche nel caso in cui il danneggiato non abbia deciso di trasferire l’azione civile nel processo penale, sia nel caso in cui tale traslazione non sia più possibile.

Pregiudiziale penale nel processo civile

Nonostante l’art. 75, comma 2 c.p.p. sancisca il principio della separazione dei giudizi, il comma successivo stabilisce due deroghe e predispone la sospensione del processo civile. Ciò si verifica qualora l’azione venga proposta in sede civile a carico dell’imputato:

  • dopo la costituzione di parte civile nel processo penale; o
  • dopo la sentenza penale di primo grado.

Se, da un lato, la prima ipotesi richiede il preventivo esercizio dell’azione civile in sede penale, la seconda non presuppone la sussistenza di tale requisito.

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