Come comportarsi quando non viene rispettata una sentenza?

Quando, all’esito di un processo, si ottiene una sentenza favorevole affinché questa produca i risultati desiderati occorre che venga rispettata dall’altra parte, ovvero, è necessario che la controparte ottemperi alle prescrizioni stabilite dal giudice.

Approfondiremo cosa prevede il Codice di procedura civile in caso di mancato rispetto di una sentenza.

Una tra le prime azioni da compiere è quella di rivolgersi al proprio avvocato di fiducia al fine di avviare l’esecuzione forzata, in cosa consiste?

L’esecuzione forzata è quel procedimento che può essere esperito dal creditore al fine di ottenere l’adempimento da parte del soggetto obbligato cioè il debitore, di una prestazione che non viene eseguita volontariamente, nonostante vi sia un provvedimento del giudice che lo imponga.

Si tratta di un procedimento ampio e con differenze significative rispettivamente al tipo di decisione non rispettata.

Possiamo osservare una molteplicità di casi in cui le sentenze presentano una natura differente. Le sentenze che presentano al suo interno una condanna possono prevedere il pagamento di una cifra stabilita o l’obbligo di un’azione particolare oppure dei divieti di compiere determinate azioni (per fare un esempio, nei condomini può riguardare l’obbligo del parcheggio delle autovetture in zone particolari).

Come bisogna procedere in tali casi?

Uno dei maggiori pericoli è che l’inutile decorso del tempo possa vanificare quanto ottenuto con la sentenza di condanna. A tal proposito, un intervento tempestivo appare necessario, nel caso in cui oggetto della condanna sia la restituzione di un bene, questo potrebbe deteriorarsi perché esposto alle ingiurie del tempo, o ancora, qualora il debitore venga condannato al pagamento di una somma di denaro occorre intervenire prima che questi disperda il proprio patrimonio divenendo insolvibile.

In tal caso, l’azione che potrebbe rivelarsi efficace è il pignoramento; il pignoramento dà l’avvio all’esecuzione forzata, è, infatti, il primo atto esecutivo realizzato allo scopo di vincolare determinati beni del debitore al soddisfacimento del diritto di credito del creditore procedente.

Formalmente l’atto di pignoramento contiene un’intimazione da parte dell’ufficiale giudiziario al debitore di non sottrarre i beni pignorati e i frutti della garanzia del credito (art. 492, comma 1 c.p.c.).

Da tale momento, eventuali atti di diposizioni del patrimonio compiuti dal debitore saranno inefficaci nei confronti del creditore procedente e di tutti coloro che sono intervenuti nel procedimento esecutivo.

Al pignoramento si giunge dopo che il creditore ha provveduto a notificare al debitore il titolo esecutivo, che attesti l’esistenza di un diritto del creditore (in questo caso la sentenza) e il precetto, quest’ultimo consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo che risulta dal titolo esecutivo entro un termine non inferiore a 10 giorni, salva l’autorizzazione all’esecuzione immediata nell’ipotesi di pericolo nel ritardo, con l’avvertimento che, in caso di mancato adempimento, si procederà ad esecuzione forzata.

Il precetto ha efficacia per 90 giorni trascorsi i quali non può più essere avviato il pignoramento, alla scadenza del termine nulla però vieta al creditore di notificare un altro atto di precetto.

Oggetto del pignoramento possono essere beni sia mobili che immobili, è altresì possibile procedere con il pignoramento presso terzi, si tratta di una particolare forma di espropriazione forzata che ha per oggetto beni mobili del debitore in possesso di terzi o crediti del debitore nei confronti di terzi.

La vendita del bene pignorato può essere chiesta con istanza presentata dal creditore pignorante o da qualsiasi creditore intervenuto, purché munito di titolo esecutivo. A seguito di questa istanza il giudice fissa la vendita dei beni, la quale può essere con incanto o senza. La vendita con incanto consiste sostanzialmente in una gara pubblica di offerte al rialzo che si svolge nella sala delle pubbliche udienze davanti al giudice dell’esecuzione o a un suo delegato.

 

Come procedere nel caso in cui la condanna abbia ad oggetto un obbligo di fare e di non fare?

Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna avente ad oggetto un obbligo di fare o di non fare, può chiedere con ricorso al giudice che siano determinate le modalità dell'esecuzione. A questo punto, il giudice sente la parte obbligata e vi provvede con ordinanza. In tale provvedimento designa anche l'ufficiale giudiziario incaricato dell'esecuzione e indica le persone tenute a compiere l'opera non eseguita o a distruggere quella compiuta

Quando le pretese esecutive hanno ad oggetto l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, può procedersi con l’esecuzione in forma specifica, ad esempio con riguardano ai casi in cui il diritto del creditore può essere realizzato nella sua identità specifica e cioè mediante la consegna del bene o il compimento dell’attività che costituisce lo specifico oggetto della prestazione.

La nuova formulazione dell’614 bis c.p.c., introdotto dall’art. 49, co. 1, l. 18.6.2009, n. 140 stabilisce che, su richiesta dell’avente diritto, il giudice, nel disporre la condanna dell’obbligato ad un fare infungibile o ad un non fare, pronunci a suo carico un’ulteriore condanna accessoria, fissando la somma da lui dovuta «per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento».

Non appare superfluo ribadire che anche l’esecuzione forzata degli obblighi di fare è una procedura che necessita, per essere avviata, del cosiddetto titolo esecutivo.

 

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