Cannabis light: quando è legale? Come affrontare un eventuale procedimento penale: normativa e giurisprudenza

Tiene banco da tempo la questione relativa alla liceità o meno della canapa sativa, comunemente definita cannabis light, canapa legale o marjuana legale. È notizia dell’ultimo periodo l’intensificarsi, in Italia e in particolare in Sardegna, delle operazioni di polizia volte alla repressione dei reati di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti, spesso culminate in sequestri del prodotto, con conseguente iscrizione dei coltivatori/produttori nel registro degli indagati per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990. A titolo esemplificativo, è sufficiente citare gli interventi presso tutto il territorio di competenza della Procura della Repubblica di Oristano e di Nuoro.

Queste iniziative giudiziarie hanno destato stupore e molta preoccupazione tra coloro che, nell’ottica di una crescita imprenditoriale e di uno sviluppo sostenibile a partire dal livello locale fino ad arrivare a quello internazionale, da un anno a questa parte e confortati dall’introduzione della L. n. 242/2016 e dalle prime e favorevoli pronunce della Corte di Cassazione, hanno deciso di investire nella coltivazione, lavorazione e commercializzazione di tale prodotto.

Alla luce delle considerazioni finora svolte sorge spontanea la domanda: in Italia la cannabis light è davvero legale oppure no?

Per rispondere a questo quesito è necessario operare un’analisi dei concetti di coltivazione, lavorazione e commercializzazione del prodotto, partendo dalla lettura, anche sommaria, dei dati normativi e giurisprudenziali.

Cosa dice la legge:

Il D.P.R. n. 309/1990, agli artt. 13, 14 e 26, include tra le sostanze stupefacenti o psicotrope anche la cannabis e i prodotti da essa ottenuti. Tuttavia, non avendo il predetto Decreto indicato alcuna percentuale di principio attivo THC al di sotto della quale il prodotto potrebbe non essere definito penalmente rilevante, qualsiasi tipo di attività avente ad oggetto la coltivazione/lavorazione/commercializzazione della cannabis doveva ritenersi illecita.

Peraltro, specialmente a seguito di un acceso dibattito prima giurisprudenziale e poi politico (tutt’ora non ancora definito) volto a legalizzare l’uso a vario titolo della cannabis, il Legislatore è recentemente intervenuto con la L. n. 242/2016, con l’intento di incentivare la coltivazione di cannabis sativa. L’effetto più evidente derivato dall’emanazione di tale Legge è stato l’apertura di attività produttive e di esercizi commerciali di cannabis light.

Tuttavia, la genericità della predetta normativa, congiuntamente a un repentino mutamento del precedente orientamento giurisprudenziale, anziché risolvere la questione regolamentando in modo chiaro la fattispecie, ha invece alimentato dubbi e incertezze, sottoponendo - come oggi sta accadendo - a procedimenti penali coloro che avevano iniziato ad affacciarsi a questa nuova opportunità imprenditoriale.

Infatti, la Legge summenzionata prevede espressamente la possibilità di coltivare la canapa sativa entro i limiti di soglia del THC, nulla disponendo con riguardo alle successive attività di filiera (essicazione, lavorazione e rivendita al dettaglio).

Più precisamente, ai sensi dell’art. 2 L. n. 242/2016 e in aderenza alla Direttiva 2002/53/CE, la coltivazione di canapa sativa non necessita il previo rilascio di particolari autorizzazioni di carattere amministrativo, dovendo il coltivatore limitarsi a conservare per 12 mesi i cartellini delle sementi acquistate e le relative fatture di acquisto. Al contempo, è anche richiesto al coltivatore che il contenuto di THC sia inferiore allo 0,2 %, fissando comunque un limite di tolleranza nella misura dello 0,6%, superato il quale si rende necessaria l’autorizzazione da parte del Ministero della Salute per la sua produzione. Infine, per quanto riguarda la lavorazione del prodotto coltivato, la legge prevede che la predetta coltivazione debba essere finalizzata alla produzione di un ristretto e specifico elenco di prodotti (alimenti, cosmetici, fibre, oli, materiali organici per la bioedilizia e bioingegneria, etc.). Al di fuori di questi, rimane fermo il divieto di trasformazione e commercializzazione di qualsiasi bene, seppur derivante dalle predette e lecite coltivazioni (si pensi a infusi, tisane, etc.).

Ne consegue che la coltivazione della canapa sativa è lecita solamente se consistente nella previa raccolta ed estrazione dei prodotti da destinare unicamente alle filiere indicate dal predetto art. 2.

Cosa dice la giurisprudenza:

Anche la giurisprudenza, partendo dal testo normativo delle leggi sopra citate, ha sposato un orientamento restrittivo. Più precisamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la “commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/90, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall'art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività» (Cass. Pen., Sez. unite, n. 30475/19).

Quali scelte adottare?

Alla luce delle considerazioni suesposte, è evidente già da questa breve disamina come sia auspicabile e risolutivo un nuovo intervento del Legislatore che emani una Legge che sia effettivamente chiara, fornendo soluzioni che, da un lato, continuino a tutelare la salute pubblica e, dall’altro, garantiscano un’opportunità di crescita a un settore che potrebbe veramente offrire un apporto concreto alla ripresa economica del nostro Paese.

Tuttavia, allo stato attuale, in presenza di un procedimento penale per fattispecie come quelle sopra descritte, le strategie difensive adottabili possono essere molteplici a seconda del singolo caso concreto, essendo oggetto di valutazione, ai fini della scelta strategica, diversi fattori attinenti sia al reato in sé (esiste o meno un principio attivo nel prodotto sequestrato, in quale quantità, è documentato con perizia, esiste la volontà e l’intenzione di detenere sostanza stupefacente oppure no, valutare la gravità del reato contestato, etc.), sia alle dinamiche processualpenalistiche (quale rito scegliere, accertare la regolarità o meno dell’eventuale operazione di sequestro condotta dalla Polizia, etc.).

Tutte valutazioni e conseguenti scelte che certamente possono essere assunte affidandosi a professionisti del settore. A tal fine, il nostro Studio Legale offre consulenza e assistenza legale a mezzo dei propri Professionisti esperti in materia su tutto il territorio italiano e anche all’estero.

 

Avv. Davide Lorrai

Dipartimento penale – Sardegna

Giambrone & Partners

Studio Legale Associato