Criptovalute: il rischio di affidarsi agli inaffidabili

Ai giorni nostri, è sempre più complicato trovare degli operatori di mercato credibili a cui affidare i nostri risparmi. Il numero di soggetti interessati a delle soluzioni di investimento alternative è sempre maggiore, e molto spesso capita di incappare in situazione poco chiare.

È di per sé noto che gli investimenti in criptovalute rappresentino una modalità di investimento peculiare e alternativa rispetto ad altre più comuni e conosciute.

Tuttavia, essendo il mondo delle criptovalute in costante evoluzione - non solo a livello interpretativo e giurisprudenziale - è d’obbligo fare un’analisi approfondita in merito.

Il primo passo è quello di diffidare da quegli operatori che non risultino iscritti ad alcun pubblico registro, tenendo però conto del fatto che nel tempo recente è intervenuta un’interessante sentenza della Corte di Cassazione che riguarda anche la questione dell’affidabilità di chi pratica abusivismo in tale settore.

La Sentenza della Corte di Cassazione n. 29649/2024 ha chiarito molti elementi di questa tematica, affermando che “le criptovalute non possono essere considerate prodotti o strumenti finanziari idonei a essere ricompresi nella condotta penalmente rilevante ex art. 166 TUF (sulle sanzioni agli operatori abusivi) trattandosi […] di una rappresentazione digitale di valore, utilizzata come mezzo di scambio […].” In effetti, anche la Direttiva UE 843/2018 ha stabilito che le criptovalute possono alternativamente essere usate sia come mezzi di scambio che come mezzi di investimento, non essendo - in alcun caso - supportate da una banca centrale.

La medesima Sentenza afferma inoltre che gli operatori di criptovalute sono equiparati per legge ai cambiavalute, per i quali non sussiste alcun obbligo di iscrizione presso un pubblico registro: questo rende ancora più complessa la comprensione in merito a chi possa essere credibile o meno in questo ambito di investimento. Pertanto, è molto difficile accertare la credibilità di coloro ai quali ci si affida.

In alcuni casi, gli operatori che contattano utenti interessati a questo tipo di investimento, si rivelano essere dei malfattori.

Tali soggetti infatti offrono criptovalute appena create – attraverso il meccanismo di mining -, dando vita al c.d airdrop: questo consiste nel donare moneta virtuale a soggetti già in possesso di token, sul proprio wallet digitale.

Tuttavia una volta “donata” la moneta digitale, i suddetti operatori (che si rivelano pertanto essere dei malfattori) prospettano esorbitanti guadagni alle vittime, cui viene però richiesto il pagamento di una somma al fine di accedere al profitto.

I truffatori, allo scopo di ottenere denaro dagli investitori, richiedono questi fondi, facendo riferimento a motivazioni sempre uguali, quali per esempio il mancato pagamento di una tassa (di norma sul guadagno inesistente) oppure un blocco del profitto, proveniente dai presunti organismi di antiriciclaggio.

Questo è il particolare schema seguito abitualmente nell’ambito delle truffe aventi ad oggetto le criptovalute, schema di cui bisogna essere ben consapevoli al fine di evitare di perdere i propri risparmi.

Per il 2025 è inoltre previsto un considerevole aumento della tassazione sulle plusvalenze derivanti da criptovalute, dal 26% al 42%. È dunque prevedibile come tale aumento della tassazione agevolerà i malintenzionati nella richiesta di tasse su guadagni fittizi, ben potendo questi giustificare la loro richiesta alla luce del nuovo regime fiscale.

In Italia gli investimenti in criptovalute ed il fenomeno delle truffe online sono in costante espansione, è quindi doveroso diffidare da facili guadagni od investimenti, e compiere le necessarie verifiche prima di affidare i propri risparmi a falsi operatori sprovvisti di licenza.

Laddove una truffa si sia purtroppo già verificata, è necessario agire con rapidità ed affidarsi a dei soggetti esperti in materia al fine di recuperare almeno il denaro perduto.

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