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Cosa succede con il decreto che restringe la cittadinanza per discendenza?
Abbiamo analizzato il futuro del decreto che restringe l'accesso alla cittadinanza ius sanguinis con tre avvocati, esaminando i possibili scenari e le questioni legali che potrebbero sorgere.
Por Florencia Gagliardi – Todo sobre Italia Dopo l'annuncio e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto-legge che restringe l'accesso alla cittadinanza iure sanguinis (per diritto di sangue), la questione fondamentale ora è cosa accadrà alla norma, che deve passare dal Parlamento per la sua conversione in legge.
La notizia ha suscitato sorpresa nei paesi con una grande comunità di discendenti italiani, dove nessuno si aspettava un decreto di queste caratteristiche. Anche in Italia, dove da diversi settori si sono sollevati dubbi sulla misura, in attesa di sapere come evolverà la norma.
Il decreto-legge n. 36, che introduce modifiche e restringe l'accesso generazionale alla cittadinanza ius sanguinis, è stato annunciato dal Vicepremier e Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani. D'ora in poi, saranno automaticamente cittadini dalla nascita solo i discendenti fino alla seconda generazione, ovvero coloro che hanno almeno un genitore o un nonno nati in Italia. La norma riguarda coloro che non avevano ancora avviato la procedura per ottenere il riconoscimento della cittadinanza entro le 23:59 del 27 marzo 2025 (ora di Roma).
I cambiamenti introdotti dal decreto
Prima della nuova normativa, non esisteva un limite generazionale. Era sufficiente dimostrare la discendenza da una persona nata in Italia dopo il 1861, anno della nascita del Regno d’Italia, e provare l’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza. In questo modo, ciò che veniva richiesto era il riconoscimento della cittadinanza, basato sul principio dello ius sanguinis, secondo cui il figlio di padre o madre italiani acquisisce la cittadinanza per nascita, come stabilito dall’articolo 1 della Legge n. 91/92.
Secondo i dati del Ministero degli Affari Esteri, dal 2014 fino alla fine del 2024, i cittadini residenti all'estero sono aumentati da 4,6 milioni a 6,4 milioni: un incremento del 40% in 10 anni. In questo contesto, l'Argentina è passata da circa 20.000 richieste di cittadinanza iure sanguinis nel 2023 a 30.000 riconoscimenti nel 2024. Per quanto riguarda il Brasile, i numeri sono aumentati da oltre 14.000 nel 2022 a 20.000 nel 2024. Dal canto suo, il Venezuela ha registrato circa 8.000 riconoscimenti nel 2023.
Il processo legislativo e le questioni sollevate
Ma che significa questo decreto e quali sono i punti che vengono messi in discussione? Alessandro Gravante, avvocato senior partner dello studio Giambrone & Partners, ha spiegato a Todo sobre Italia che un decreto-legge è uno strumento legislativo che consente di applicare alcune decisioni in modo immediato e che, per sua natura, deve essere convertito in legge entro 60 giorni. Può essere approvato così com’è o con modifiche, altrimenti perderebbe la sua efficacia. “Sono già in corso discussioni su possibili emendamenti, anche proposti da membri della stessa maggioranza parlamentare che ha approvato questo decreto”, ha precisato.
L’avvocato Sandra Ramajo Navarro, titolare dello studio Ramajo Legal, ha anche sottolineato che questo tipo di misura viene utilizzato in situazioni di emergenza, in cui il Consiglio dei Ministri non ha bisogno di passare per il Parlamento. Tuttavia, ha ritenuto che, in questo caso, non sia lo strumento giuridico adeguato. “Da anni Tajani presenta proposte di legge che nemmeno sono state discusse. Ora ha fatto ricorso a questa misura, che non ha senso. Il decreto è operativo fino a quando il Parlamento non decida se convertirlo in legge, modificarlo o annullarlo, caso in cui decadrebbe”, spiega.
Il tema dell'incostituzionalità
Ramajo ritiene che sia poco probabile che l’opposizione convalidi e approvi il decreto così com’è, poiché – ritiene – presenta questioni incostituzionali. Nella stessa linea, Gravante ha sottolineato che “c’è una chiara incostituzionalità nell’applicazione retroattiva”. “Il decreto è stato emanato il 28 marzo e pubblicato nella gazzetta ufficiale. Normalmente, i decreti entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione, ovvero il 29 marzo. Ma in questo caso, è stato stabilito che si sarebbe applicato alle richieste presentate dopo il 27 marzo alle 23:59”, spiega.
Secondo l’avvocato, questa disposizione contraddice principi costituzionali fondamentali. “Chiaramente il Governo lo ha fatto per evitare che avvocati come noi e molti altri colleghi presentassero ricorsi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa”, afferma.
Un altro degli aspetti che il legale mette in discussione è che la norma sia stata emessa insieme al decreto 37 sull’immigrazione. Per Gravante “hanno fatto una specie di pacchetto immigrazione, però confondendo”. “Alcuni politici hanno dichiarato che è necessario fermare la mercificazione della cittadinanza, come se tutte le persone che hanno legittimamente ottenuto l'accertamento della propria discendenza italiana, abbiano fatto qualcosa di illegale. Questo è gravissimo dal nostro punto di vista, perché loro hanno parificato il legittimo esercizio di un diritto costituzionale –un diritto che viene chiamato soggettivo permanente – e l'hanno accostato a delle pratiche di dubbia legalità. Ovvio che c'è un indotto economico, ma stiamo parlando di persone che hanno il pieno diritto di essere accertati a essere cittadini italiani, e vengono affiancate all'immigrato che cerca una scorciatoia per diventare cittadino italiano", ha affermato.
Inoltre, ha opinato che si sarebbero potute adottare altre misure, invece di un decreto che blocca l’accesso alla cittadinanza. “Esistono strumenti per garantire un legame maggiore con l’Italia senza bisogno di una misura così drastica”, ha sottolineato.
Altre misure come precedenti
Gravante si è riferito anche alle recenti misure in materia di cittadinanza, come antecedente del decreto pubblicato. “Da gennaio è entrata in vigore una nuova norma che viola principi costituzionali. Prima del 31 dicembre 2024, il contributo unificato che si pagava al tribunale era unico per processo anche in presenza di più ricorrenti, ma dal 1° gennaio il Governo ha deciso che ogni richiedente deve pagare il proprio contributo unificato, il che implica un costo di 600 euro a persona”, spiega.
L’avvocato ha definito questa misura “particolare”, poiché, a differenza di altri procedimenti giudiziari, come una causa di risarcimento, dove due persone possono presentare il loro caso insieme e pagare una sola tassa, nel caso della cittadinanza viene richiesto un pagamento individuale per ogni richiedente. Questa nuova disposizione rappresenta, a suo avviso, una discriminazione per coloro che richiedono la cittadinanza italiana, rispetto ad altri procedimenti giudiziari. “È stato un processo progressivo di aumento dei costi per i richiedenti”, sostiene.
Emendamenti e impugnazioni davanti ai tribunali
Stefano Belardini, avvocato in Roma specializzato in diritto dell'immigrazione e della cittadinanza italiana iure sanguinis, nonché membro fondatore dell'Associazione AGIS (Associazione Giuristi Iure Sanguinis), ritiene che il problema più grave della normativa, tra gli altri, sia il suo effetto retroattivo. “Fino ad ora, secondo la Legge 91 del 1992, chi nasceva prima del 27 marzo 2025 era considerato cittadino italiano – lo stabilisce la legge sulla cittadinanza. Tutti i cittadini dovevano solo esercitare questo diritto, essendo nati italiani. Invece, questo decreto afferma che non si è più cittadini, nonostante una legge vincolante sancisse la cittadinanza dalla nascita. Si tratta di un diritto assoluto, imprescrittibile e giustiziabile in ogni momento, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite. Pertanto, questa rappresenta una solida base per presentare nuovi ricorsi e sollevare una questione di costituzionalità.”
A questo proposito, l’avv. Belardini spiega che, come associazione, stanno preparando ricorsi per contestare la costituzionalità del decreto. “Abbiamo consultato un avvocato costituzionalista per analizzare la questione ed evidenziare i numerosi profili di incostituzionalità del decreto. Stiamo redigendo, inoltre, un emendamento da presentare nelle prossime fasi, entro 60 giorni, per richiedere la modifica del decreto in fase di approvazione. Non è assolutamente scontato che nella legge di conversione venga accolta la nostra richiesta tout court di eliminare il principio di retroattività, ma proporremo anche diverse alternative per ottenere delle serie modifiche”, sottolinea.
Cosa potrebbe succedere con il decreto?
Una volta che il decreto sarà esaminato dalle Camere, il Parlamento italiano dovrà decidere se convertirlo in legge, modificarlo o respingerlo. “Quando verrà approvata la legge di conversione, se la retroattività dovesse essere confermata, prepareremo delle questioni di costituzionalità da sottoporre al giudice. Quest’ultimo analizzerà il singolo caso di ricorso per la cittadinanza e valuterà se le questioni costituzionali sollevate nel ricorso siano non manifestamente infondate ed in tal caso dovrà solleverà la questione alla Corte Costituzionale”, anticipa Belardini.
Per Alessandro Gravante è molto probabile che il decreto venga modificato durante il processo di conversione in legge. Tuttavia, ritiene che il problema principale non sia solo il suo contenuto, ma il messaggio che trasmette e le sue implicazioni pratiche. Inoltre, opina che la norma sia un riflesso dell'incapacità degli uffici consolari italiani di gestire le richieste di cittadinanza.
“Questo nuovo decreto toglie ai consolati il compito di verificare requisiti di cittadinanza concentrando tutto in un ufficio del Ministero degli Affari Esteri, che ovviamente si ingolferà, perché se già i consolati non sono in grado di gestire tutte le richieste di cittadinanza, è abbiamo consolati sparsi in tutto il mondo, figuriamoci un singolo ufficio a Roma come potrà gestire tutte queste richieste che comunque però verranno. Sono tutte procedure che dimostrano l'incapacità del Governo italiano a gestire questa massa di richiedenti, e quindi hanno ritenuto che fosse più facile eliminare la platea”, aggiunge.
“Nessuno si aspettava questa misura”
Belardini sottolinea, inoltre, la mancanza di trasparenza nell'approvazione del decreto: “Nessuno si aspettava questa misura. È stata introdotta senza alcun preavviso, nonostante peraltro, la Meloni in piena campagna elettorale, abbia promesso esattamente il contrario, ovvero tutelare lo ius sanguinis, le radici degli italiani all’estero e i diritti degli oriundi come patrimonio culturale dell’Italia”, dice.
Un dietrofront, per l’avvocato, inaspettato ed inaccettabile. “Proprio su tali presupposti, peraltro, i discendenti hanno impiegato risorse tempo e denaro al fine di predisporre la ricerca della documentazione idonea a dimostrare la loro discendenza italiana. Oggi si trovano oltre a non poter più essere cittadini italiani, ma anche di aver perso moltissimi soldi per i documenti e consulenti e società di servizi che legittimamente si occupavano della ricerca della documentazione, la loro traduzione e l’apostillamento”, evidenzia.
Inoltre sottolinea gli sforzi dell'Associazione AGIS per introdurre modifiche. “Noi siamo parte attiva di questi cambiamenti, presentando emendamenti che possano fungere anche da avvertimento al Parlamento: se questa legge verrà approvata, sarà completamente incostituzionale”, assicura. E infine, conclude: “Stiamo lavorando affinché i diritti degli italo-discendenti siano tutelati nel miglior modo possibile. Per ora, la miglior strategia, non è depositare i ricorsi al Tribunale, ma lottare è attendere la legge di conversione.”
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Florencia Gagliardi