La disciplina europea dell'azione revocatoria

Nell’ambito di un rapporto tra un creditore e il suo debitore, gli atti con cui il debitore si priva, in tutto o in parte, del proprio patrimonio, rappresentano un potenziale pericolo per il creditore. Infatti, il debitore è tenuto a rispondere dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 1740 c.c.).

Per esempio, a fronte di un debito di € 100.000,00, qualora il debitore – che disponga solo di quella cifra o di poco più – decidesse di donare tutto il suo denaro a un terzo, senza ricevere nulla in cambio, il suo patrimonio ne risulterebbe azzerato o gravemente diminuito: il debitore non potrebbe materialmente pagare il creditore, perché non avrebbe più nulla.

E anche qualora il creditore decidesse di promuovere un’esecuzione forzata, procedendo con il pignoramento, non troverebbe denaro o altri beni dal valore sufficiente da aggredire per soddisfare il suo credito.

Per tutelare i creditori da questa eventualità, la legge prevede lo strumento dell’azione revocatoria, esperibile dai creditori per ottenere una sentenza dal Giudice che dichiari l’inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio del debitore (art. 2901 c.c., c.d. revocatoria ordinaria).

Il creditore, ottenuta questa pronuncia, potrà aggredire i beni che facevano parte del patrimonio del debitore, anche se essi sono stati venduti o donati a terzi, perché gli atti di alienazione compiuti dal debitore (ad es. vendite, donazioni…) saranno considerati inefficaci nei confronti del creditore: in breve, il creditore potrà agire come se quegli atti non fossero mai stati compiuti.

Quando si tratta di creditori di una società fallita, la Legge Fallimentare permette al curatore del Fallimento di chiedere la revocatoria degli atti di disposizione del patrimonio della società, a condizioni più favorevoli di quelle ordinarie (art. 67 L. Fall., c.d. revocatoria fallimentare).

A quale giudice bisogna rivolgersi per ottenere la revocatoria?

Se il debitore è residente o (in caso di persona giuridica) ha la sede legale in Italia, il creditore potrà proporre l’azione revocatoria dinanzi al Giudice italiano del luogo della residenza o della sede legale del debitore (artt. 18-19 c.p.c.) oppure davanti al Giudice italiano del luogo in cui è nata o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio (art. 20 c.p.c.).

Invece, se le parti sono residentio hanno la sede legalein Stati diversi dell’Unione Europea, si pone il problema di dove promuovere l’azione.

Il Regolamento Europeo 1215/2012 prevede due alternative, permettendo al creditore di rivolgersi:

  • Al giudice dello Stato in cui è domiciliato il debitore (ai sensi dell’art. 4);
  • Se il debitore è obbligato al pagamento di una somma di denaro, al giudice dello Stato in cui è domiciliato il creditore (ai sensi dell’art. 7, come confermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con Sentenza del 04.10.2018, nella causa C-337/17).

Così, ad esempio, se un creditore residente in Italia vuole tutelare il proprio credito con azione revocatoria nei confronti di un debitore residente in Francia, potrà adire sia le autorità italiane che le autorità francesi.

Il discorso cambia quando l’azione revocatoria è mossa contro una società fallita.

Infatti, in questo caso non troverà applicazione il citato Reg. UE 1215/2012, ma un altro Regolamento europeo, il n. 848/2015, che, diversamente, fissa la giurisdizione in capo al giudice dello Stato in cui è stata avviata la procedura di insolvenza, che generalmente è lo Stato in cui l’impresa ha la sua sede legale (così ha ritenuto la Corte di Giustizia, v. Sent. 14 novembre 2018, causa C-296/17).

Pertanto, se una società francese fallisce (tenuto conto che il fallimento si apre generalmente in Francia) il suo creditore italiano non potrà promuovere la revocatoria fallimentare in Italia, ma dovrà necessariamente instaurare la causa in Francia, davanti allo stesso Giudice in cui si è aperto il fallimento.

Il principio alla base di questa regola, d’altro canto, è contemplato anche dalla normativa italiana interna, in base alla quale il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano (art. 24 L. Fall.).

Giovanni Firrito

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