il rapporto contrattuale in Italia ai tempi del Covid-19

Il periodo che le relazioni commerciali stanno attualmente attraversando è del tutto originale.

Successivamente alla seconda guerra mondiale, sino ad ora si erano mai verificati episodi di uguale gravità che potessero congestionare, sotto ogni profilo, lo svolgimento della vita ordinaria di ogni persona in così tanti Stati e per un periodo così lungo. Se da un lato le preoccupazioni maggiori riguardano, giustamente, le condizioni mediche o le relazioni affettive, dall’altro è innegabile che anche l’incertezza circa il futuro dei propri interessi economici renda l’attuale situazione ancora più faticosa.  

Tale incertezza è, purtroppo, ben fondata. Infatti, l’enorme espansione nello spazio e nel tempo del virus covid-19 e, soprattutto, le conseguenti misure di prevenzione adottate da moltissimi Stati si sono severamente imposte nei confronti di chiunque, coinvolgendo tanto le relazioni commerciali nazionali quanto quelle internazionali. Per quanto questa situazione sia del tutto unica nella storia giuridica moderna e, pertanto, non esistano esperienze pregresse in merito – il nostro ordinamento civile contiene, comunque, delle disposizioni utili a proteggere le parti di un contratto quando questo, per cause di forza maggiore, non può aver seguito come inizialmente previsto

Con il termine “causa di forza maggiore” si fa riferimento a quelle circostanze, dal carattere assolutamente oggettivo, che si impongono sulle vicende contrattuali senza che le parti possano in alcun modo averne il controllo. Il dilagare del virus Covid-19, le misure di contenimento e la conseguente limitazione degli spostamenti sono chiaramente fenomeni perfettamente rientranti nella nozione di forza maggiore, meritevoli di una specifica considerazione nell’ambito della conclusione e della prosecuzione delle vicende contrattuali.
 

La regola generale di ogni corretta e sana relazione contrattuale è la seguente: le parti devono onorare i propri impegni, proteggendo tanto la relazione contrattuale in sé, quanto il suo equilibrio tra le parti, cooperando in buona fede e con diligenza. Qualora una parte non adempia correttamente la propria obbligazione, dovrà risponderne in favore dell’altra.
L’eccezionalità dell’attuale situazione porta a chiedersi se, ed in quale misura, tale regola rimanga valida. La risposta a tale quesito è fornita direttamene dalla nostra legislazione, tanto nelle disposizioni del Codice civile quanto nei principi del diritto internazionale definitivamente recepiti.
 

Prendendo in considerazione la disciplina codicistica è possibile notare come, già in tempi non sospetti, il legislatore italiano ha introdotto alcuni temperamenti a tale regola che cercano di aiutare, per quanto possibile, la parte che, proprio per circostanze di forza maggiore, non sia in grado di comportarsi come dovrebbe.

Tali temperamenti consistono in due diversi regimi da applicare a seconda del caso concreto, guardando quale sia la situazione che, in punto di fatto, renda impossibile l’adempimento. In entrambi casi, lo si anticipa, l’effetto principale sarà quello di interrompere la relazione contrattuale, dando luogo alla risoluzione del contratto. Tuttavia, la differenziazione, operata sulla base delle effettive ragioni che rendano inadeguato il mantenimento del vincolo contrattuale, è di estrema importanza.

Il primo caso che può dar luogo alla risoluzione del contratto è l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Con questa espressione tecnica ci si riferisce alla specifica possibilità che non sia più possibile materialmente dar luogo al proprio adempimento, perché l’oggetto di questo (o la sua possibilità) è venuto meno, per circostanze del tutto indipendenti dalla volontà del debitore.

Come specificato dalla giurisprudenza, il rimedio della risoluzione per impossibilità sopravvenuta potrà essere utilizzato solo nel caso in cui tale impossibilità fosse del tutto inimmaginabile al momento della conclusione del contratto, e non anche qualora questa fosse facilmente prevedibile utilizzando l’ordinaria diligenza. Guardando al caso odierno, potrà essere utile il seguente esempio: un contratto concluso a gennaio, con prestazione da eseguire ad aprile, difficilmente avrebbe potuto prevedere le circostanze (cioè l’epidemia di COVID-19) poi verificatesi; diverso il caso in cui, invece, il contratto fosse stato concluso negli ultimi giorni di marzo, per una prestazione (dallo svolgimento incompatibile con i vigenti divieti ministeriali) da eseguire nella seconda settimana di aprile, giacché la prosecuzione della vigenza di tali divieti si sarebbe potuta facilmente prevedere con l’ordinaria diligenza.

In questo caso, l’effetto principale del verificarsi di tale causa di risoluzione è quello di non rendere più dovuta la controprestazione; nel caso in cui questa fosse già stata eseguita (come, ad esempio, nel caso di pagamento anticipato), il creditore avrà diritto alla restituzione di quanto già corrisposto. Qualora, invece, la prestazione divenga solo parzialmente impossibile, il contratto rimarrà in vigore limitatamente a quanto possibile, dando opzione all’altra parte di accettarla a fronte di una proporzionale diminuzione della propria controprestazione (ad esempio, riducendo il prezzo) o di rifiutarla per carenza di interesse.

Il secondo caso preso in considerazione dal nostro codice civile come causa di risoluzione non imputabile al debitore è quello della c.d. eccessiva onerosità sopravvenuta. Con questa espressione ci si riferisce comunemente alla circostanza per cui eventi eccezionali (quali ad esempio, il blocco della circolazione dovuto all’attuale pandemia) abbiano reso eccessivamente gravosa l’esecuzione della propria prestazione, alterando macroscopicamente l’equilibrio tra le reciproche prestazioni che era stato definito prima del verificarsi dell’evento anomalo e che ci si aspettava non sarebbe mutato. Ancora una volta, affinché tale causa sia effettivamente valida, è necessario che la prevedibilità dell’evento fosse del tutto impossibile utilizzando l’ordinaria diligenza.

Impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta, ad oggi possibili effetti della paralisi da covid-19, sono, quindi, le due diverse ragioni che possono giustificare l’interruzione della relazione contrattuale. Interruzione che potrà essere evitata, ad esempio, concordando la sospensione degli effetti del contratto finché non sarà possibile ripristinarne gli effetti, oppure concordando delle modifiche che possano portare ad un nuovo accordo.  
Chiaramente, questa circostanza – che opera, è bene precisarlo, di diritto - potrebbe lasciare scontenta una delle due parti, la quale magari confidava nella possibilità di un esito soddisfacente del contratto concluso. Tale delusione dovrà essere sopportata e tollerata; è la legge, infatti, che lo impone. Non soltanto per civica empatia nei confronti della propria controparte, ma anche e soprattutto per preciso dovere di solidarietà verso tutti quei cittadini per i quali la responsabilità contrattuale, assunta in tempi non sospetti, potrebbe trasformarsi – se ordinariamente pretesa – in un onere insormontabile.

Tale dovere di solidarietà, tuttavia, non avrà ragion di sussistere in tutti quei casi in cui il debitore versasse in una situazione di inadempimento già prima che si verificassero i fatti poi posti alla base dell’impossibilità della prestazione o della sua eccessiva onerosità. In questi casi, il regime sopra descritto non troverà in applicazione e, al contrario, si potrà agire nei confronti del debitore addebitandogli integralmente, ed economicamente, la responsabilità dell’inadempimento.

Dott. Federica Restivo

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