Responsabilità degli enti ex d.lgs 231/2001 e necessità di provare la colpa d'organizzazione

L’introduzione del d.lgs. 231/2001 nel panorama normativo italiano ha sin dall’inizio destato dubbi interpretativi sulle modalità di individuazione di tale peculiare forma di responsabilità, a metà strada tra quella di natura amministrativa e quella di natura penale. La problematica è legata alla difficoltà di conciliare il fondamentale principio del diritto penale per cui la responsabilità penale è personale con l’arcaico principio secondo cui “societas delinquere non potest”. 

Il legislatore con l’introduzione del d.lgs. 231/2001 si era posto come obiettivo quello di superare tale incompatibilità, provvedendo ad introdurre una serie di elementi ed indici al ricorrere dei quali il legislatore collega la responsabilità in capo all’ente. 

I requisiti fondanti la responsabilità dell’ente sono stati individuati come segue: assenza e/o inadeguatezza del modello di organizzazione e gestione, sussistenza del rapporto di immedesimazione organica tra ente e soggetto autore del reato, colpa di organizzazione e l’esistenza del nesso causale tra colpa d’organizzazione e reato presupposto.                                                                                                                                                                          Tuttavia, nella pratica, l’orientamento a lungo prevalente è stato quello di affermare la responsabilità dell’ente per il solo fatto della sussistenza del reato presupposto e del rapporto di immedesimazione organica tra soggetto agente ed ente. Da tale automatismo derivava la conseguenza per cui l’ente era considerato in sostanza sempre responsabile così profilandosi, di fatto, un’ipotesi di responsabilità oggettiva. 

Molto recentemente la Corte di Cassazione si è espressa mutando tale orientamento e provvedendo a dare una più precisa interpretazione della nozione di “colpa d’organizzazione” (Cassazione Penale, Sez. IV, 10 maggio 2022, sent. n.18413).

Il principio espresso dalla Suprema Corte è che l’ente deve rispondere per un fatto proprio e non per il fatto altrui commesso da un soggetto facente parte dell’organico dell’ente. 

La sentenza in questione si è pronunciata nello specifico in materia di infortuni sul lavoro, con riferimento all’articolo 25-septies del d.lgs 231/2001 che si riferisce ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

La Cassazione ha sancito l’importante regola per cui per potersi profilare la responsabilità in capo all’ente è necessario che sussista la colpa d’organizzazione, la quale consiste nel non aver attivato tutta una serie di accorgimenti volti proprio ad evitare la commissione di quegli specifici reati che sono individuati dalla norma. Pertanto, solo ove sia provato che alla commissione del reato si accompagni anche la così detta “colpa di organizzazione”, sarà configurabile la responsabilità in capo all’ente. Secondo i giudici di legittimità la colpa di organizzazione va rigorosamente provata e non può essere né presunta, né confusa o sovrapposta con la colpa dell’autore materiale del reato presupposto. 

Alla luce di questo principio interpretativo introdotto dalla Cassazione, la colpa d’organizzazione viene inquadrata allo stesso modo dell’elemento psicologico della colpa nel reato commesso dalla persona fisica. La connotazione più specifica che la Cassazione ha dato alla colpa d’organizzazione, intesa come violazione di precise regole cautelari e modelli organizzativi, comporta che questa diventi elemento ulteriore che deve essere provato dall’accusa durante la fase delle indagini e che non può essere, quindi, considerato ex se fondante la responsabilità dell’ente.

Nello specifico, la condotta criminosa fa rilevare profili di responsabilità del dipendente e/o dell’amministratore dell’ente responsabile del reato. Tuttavia, da questa non può e non deve discenderne in automatico la responsabilità anche dell’ente. Chiaramente la mancanza o inadeguatezza delle misure cautelari costituiscono condizioni che possono verosimilmente facilitare la verificazione del reato presupposto, ma la specifica colpa d’organizzazione dell’ente va provata e ne va provata l’effettiva incidenza causale rispetto al reato posto in essere.

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