Fiscalità internazionale e paradisi fiscali

La fiscalità internazionale, sta diventando a tutti gli effetti una vera e propria questione etica e sociale, trovando spazio nelle agende politiche di tutti i principali Paesi.

Cos’è la fiscalità internazionale?

Il diritto tributario internazionale è formato da una serie di regole, codificate da norme, contraddistinte da uno scopo comune, quello di “Ottenere una tassazione equa delle attività economiche e degli investimenti internazionali, ed anche l’eliminazione delle distorsioni fiscali nella tassazione degli investimenti internazionali”.

L’equità nella tassazione delle attività economiche e degli investimenti internazionali è perseguita a livello nazionale attraverso l’applicazione del principio della capacità contributiva (contenuto nell’articolo 53 della Costituzione italiana). Si tratta del principio che intende ottenere una distribuzione equa del carico fiscale fra i contribuenti, facendo concorrere ogni contribuente a tassazione, in modo progressivo al crescere dei suoi redditi. Altro strumento cardine è il principio dell’uguaglianza, ovverosia l’applicazione dello stesso trattamento fiscale al verificarsi delle stesse condizioni e circostanze.

E’ all’interno di questi principi che si manifesta la potestà impositiva dei vari Stati. Ognuno di essi, nel corso della sua storia, ha codificato il proprio sistema tributario interno. Si tratta essenzialmente di un sistema tributario autonomo basato su principio di territorialità e di residenza fiscale. Ad esempio, la residenza fiscale delle persone fisiche in Italia si acquisisce attraverso l’iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente; il domicilio e/o la residenza nel territorio dello Stato.

Per ciò che concerne invece la residenza fiscale di società ed enti, si considerano residenti nel territorio dello Stato se, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato, alternativamente: la sede legale; la sede dell’amministrazione; l’oggetto esclusivo o principale dell’attività.

La fiscalità internazionale, dunque, non riguarda soltanto le persone fisiche, ma anche e soprattutto imprenditori ed imprese. All’interno di un mercato globalizzato, le imprese per sopravvivere devono necessariamente affacciarsi all’estero con strumenti di investimento diretto. In tutti questi casi di insediamento all’estero nascono problematiche di fiscalità internazionale, che possono essere legate ai criteri di collegamento del reddito, al tax planning o a discipline come il transfer pricing o la normativa CFC.

È proprio in questo contesto internazionale che, in alcuni casi, si possono verificare problematiche di elusione (o evasione) fiscale transfrontaliera. Una problematica che sta spingendo i Governi di tutto il mondo a un impegno comune che non ha precedenti. L’obiettivo è quello di mettere all’angolo le giurisdizioni non collaborative (c.d. “paradisi fiscali“) e le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva poste in essere da taluni gruppi multinazionali.

Cosa sono i paradisi fiscali?

Vengono qualificati come paradisi fiscali i Paesi nei quali vige un regime di tassazione molto basso, se non addirittura inesistente. Tale regime fiscale di favore si applica a soggetti stranieri per incoraggiarli a stabilire in loco le proprie attività commerciali o di natura patrimoniale.

I paradisi fiscali sono categorizzati in base ai seguenti elementi:

  1. No or only nominal taxes: imposizione fiscale assente o solo nominale;
  2. Lack of effective exchange of information: assenza di un efficace scambio di informazioni fiscali con gli altri Paesi;
  3. Lack of transparency: l’amministrazione fiscale del paese non rispetta le regole di trasparenza e non può far valere la propria autorità;
  4. No substantial activities: le attività commerciali ed industriali trasferite nel Paese non sono effettive;
  5. Tentativo di attrarre operazioni e investimenti tax driven;
  6. Ragioni di risparmio fiscale per il contribuente;
  7. Occultamento di capitali e assets finanziari.

L’OCSE si è occupata di categorizzare i paradisi fiscali, suddividendoli in diversi elenchi:

  • White list: comprende gli Stati che si sono uniformati agli standard fiscali internazionali;
  • Grey list: comprende gli Stati che si sono impegnati a uniformarsi agli standard fiscali internazionali;
  • Black list: comprende i Paesi che non si sono uniformati agli standard fiscali internazionali e non hanno intrapreso un processo di adeguamento.

UE: lista delle giurisdizioni non cooperative ai fini fiscali.

Al momento nella lista dei paradisi fiscali rientrano 12 Paesi: Samoa americane, Anguilla, Dominica, Fiji, Guam, Palau, Panama, Samoa, Seychelles, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane, Vanuatu, Oman.

Il fenomeno delle società offshore

Offshore significa letteralmente fuori dalle acque territoriali. Il termine società offshore identifica una società registrata in base alle leggi di uno stato estero, ma che conduce la propria attività al di fuori dello stato o della giurisdizione in cui è registrata. E’ importante ricordare che la pratica di costituzione di società offshore è assolutamente legale per ogni soggetto residente in qualsiasi stato, nonostante si tratti di un ammanco fiscale causato ai cittadini di un paese a fiscalità ordinaria.

Le finalità presunte delle società incorporate in una giurisdizione che conducono attività d’impresa in altre giurisdizioni sono, tra le altre, quelle di ottenere una diminuzione dell’imposizione fiscale e di sottrarre imponibile agli stati di produzione del reddito. I paradisi fiscali, dispongono di una mole di entrate provenienti dalle imposte sui redditi delle società in-shore e attirano investimenti esteri mediante convenzioni con le imprese.

Gli interventi degli organi regolatori internazionali e dei Governi sono diventati più frequenti e determinati: le strategie di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale si sono sempre più affinate e la lotta alla delocalizzazione dei redditi ed allo spostamento dei flussi finanziari legati alla criminalità organizzata ed al terrorismo, ha portato alla nascita della regolamentazione anti-riciclaggio, quasi universalmente applicata.

Il 20 maggio 2015 è stato adottato un nuovo quadro giuridico in materia di antiriciclaggio di denaro e contrasto del finanziamento del terrorismo (Anti-Money Laundering/Combating the Financing of Terrorism —“AML/CFT”), composto dai seguenti strumenti:

  • direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo (“quarta direttiva antiriciclaggio”);
  • regolamento (UE) 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi (“regolamento sui trasferimenti di fondi”).

In conclusione, uno degli elementi chiave del quadro giuridico dell’UE è l’approccio basato sul rischio. Le situazioni che presentano un rischio elevato di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo possono giustificare l’applicazione di misure rafforzate, mentre quelle in cui il rischio è ridotto possono legittimare l’attuazione di controlli meno rigorosi.

Pina Giordano

 

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