Alternative al contenzioso in Italia

L’espressione metodi alternativi di risoluzione delle controversie  indica un aspetto di crescente importanza nel panorama del contenzioso civile italiano; questo si caratterizza per il ricorso a strumenti rimessi essenzialmente alla volontà delle parti al fine di arrivare alla risoluzione delle liti senza ricorrere all’intervento del giudice. Il tema è indubbiamente rilevante per quei paesi, come l’Italia, nei quali la durata del processo civile dinanzi al giudice statale ha  assunto dimensioni patologiche tali da risolversi in un sostanziale diniego di giustizia.

Tali strumenti devono naturalmente essere previsti dal diritto, se così non fosse si rischierebbe il paradosso di sfociare nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, penalmente sanzionato. Tali strumenti possono essere utilizzati soltanto in sostituzione del processo ordinario di cognizione e, soprattutto, la questione controversa deve attenere alla branca dei diritti cosiddetti disponibili.

Sebbene una figura assimilabile al mediatore fosse già conosciuta dal Diritto Romano, i metodi alternativi di risoluzione delle controversie (o alternative dispute resolution oADR), per come li intendiamo oggi, trovano amplissima diffusione nel mondo anglosassone e su di essi si è avviata una concreta riflessione già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.

D’altro canto la situazione italiana in materia è poco confortante, ciò soprattutto per la mancanza di un procedimento unitario volto alla definizione stragiudiziale delle controversie; si pensi alla mediazione (divenuto istituto di generale applicabilità); ai collegi di conciliazione; o ulteriormente i collegi di conciliazione ed arbitrato.

Si potrebbe operare, all’interno della generale categoria, una distinzione di massima fra i metodi c.d. autonomi che non prevedono l’intervento di terzi, che impiegano strumenti del diritto privato e che dunque si fondano sull’intervento esclusivo della Volontà delle parti e degli strumenti di diritto privato; l’ipotesi ricorre quando le parti riescano a conciliarsi da sé (tutt’al più, con l’ausilio dei propri legali); l’istituto più importante ( se non l’unico) è quello della transazione, un vero e proprio contratto, tramite quale le parti, operando reciproche concessioni, prevengono una lite o ne mettono a tacere una già insorta. Lo schema transattivo ben si presta a fornire veste giuridica anche a rinunzie unilaterali, quali la rimessione del debito ad esempio; la veste transattiva trova la sua giustificazione soprattutto per disciplinare gli aspetti collaterali della vicenda.

La seconda classe di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie è, d’altro canto, detta eteronoma, in questa lo strumento convenzionale delle parti si integra con l’intervento dell’opera di un terzo, che collabora alla nascita di un procedimento e che coopera al raggiungimento della composizione della lite. Alcuni considerano soltanto queste ultime quali vere forme di risoluzione alternativa delle controversie.

Naturalmente, per integrare la volontà delle parti, la figura terza che interviene in questa forma di procedimento deve necessariamente essere istituita dalla legge o da essa riconosciuta.

I due istituti maggiormente conosciuti sono la conciliazione e la mediazione, la prima, introdotta dal. D.lgs. 28 del 2010 è un rimedio di ordine generale, la seconda si presenta in varie forme in accordo alla tipologia di lite; i principali sono:

  1. La conciliazione in sede non contenziosa di cui all’art. 322 c.p.c., si svolge innanzi al giudice di pace; se la controversia è di competenza del suddetto giudice e la conciliazione va a buon fine, il processo verbale varrà quale titolo esecutivo.
  2. Il tentativo di conciliazione in materia di lavoro di cui all’art. 410 e ss c.p.c.; pur permanendo la possibilità di svolgerlo in sede sindacale o di fronte all’ufficio della Direzione provinciale del lavoro, l’esperimento del tentativo non è più obbligatorio; in caso di effettiva riuscita del tentativo il processo verbale può essere depositato presso il giudice del lavoro che ne controllerà la regolarità formale al fine di poterlo dichiarare esecutivo con decreto.
  3. Connotati dall’obbligatorietà sono invece: il tentativo di conciliazione in materia di contratti agrari presso il competente ispettorato provinciale dell’agricoltura; il ricorso preliminare agli organismi di conciliazione per le controversie relative ai patti di famiglia; il tentativo di conciliazione per le controversie sul diritto di autore che si svolge presso il Comitato consultivo permanente per il diritto di autore presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; il tentativo di conciliazione presso le camere di conciliazione delle Camere di Commercio in materia di controversie fra utenti ed esercenti servizi di pubblica utilità, il cui verbale in costituisce titolo esecutivo; il tentativo di conciliazione stragiudiziale presso il competente Corecom (comitato regionale per le comunicazioni) per le controversie in materia di telecomunicazioni fra utenti e licenziatari per l’erogazione del servizio; pur non prevedendo nessuna sanzione processuale in caso di omissione, è obbligatorio il tentativo di conciliazione in materia di  subfornitura  ex. art. 10 l’192/1998 presso le Camere di Commercio; ultimi due istituti connotati dall’obbligatorietà sono quelli rientranti nell’ambito delle controversie concernenti risparmiatori ed investitori  ex. art. 4 d.lgs.179/2007 e quello previsto dall’art.128bis del TUB in materia bancaria e creditizia.

In riguardo all’istituto della mediazione invece, questo è stato introdotto con il d.lgs. 28/2010 e ss.mm., l’art. 1 della suddetta norma la definisce come attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. Naturalmente anche in questo ambito la controversia dovrà vertere su diritti disponibili.

Gli elementi costanti e caratteristici della mediazione possono essere così riassunti:

  1. In prima istanza l’imparzialità dell’organo mediatore;
  2. In secondo luogo l’idoneità dell’organo allo svolgimento del compito, questo pertanto è necessario che offra garanzie di competenza, professionalità e preparazione giuridica; non a caso è prevista l’iscrizione dell’organismo di mediazione, subordinata al controllo del possesso di specifici requisiti, in apposito registro presso il Ministero della Giustizia; in più gli organismi saranno tenuti a garantire il percorso formativo dei mediatori mediante corsi teorici e pratici o di aggiornamento.

Si usa distinguere fra tre diversi tipi di mediazione: facoltativa(diritti disponibili); obbligatoria(condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari) ed ufficiosa (disposta dal giudice prima della precisazione delle conclusioni o della discussione della causa ) ; indipendentemente dal tipo, in tutti e tre si riconosce il tratto comune laddove il compito del mediatore non è esclusivamente quello di presiedere il tentativo di composizione della lite, ma, in più, quello di tenere un comportamento attivo, stando in capo a questi il potere di formulare una proposta “di conciliazione”. Questa facoltà è da tenere in debita considerazione in quanto l’ingiustificato rifiuto di detta proposta potrebbe avere un riflesso negativo sulla statuizione sulle spese qualora la causa giungesse in sede giudiziaria.

A quanto detto, va aggiunto che nel 2015 è entrato in vigore il Decreto legislativo n.130/2015 in attuazione della direttiva 2013/11/EU sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori; l’entrata in vigore del suddetto decreto modifica anche il già menzionato D.Lgs 28/2010 e la modalità in cui gli Organismi di mediazione iscritti al Registro del Ministero della Giustizia devono svolgere le procedure di mediazione tra professionisti/aziende e consumatori; le novità più salienti sembrano inserirsi nel filone di tutela del consumatore, già da tempo percorso dagli organi legislativi dell’unione. Grande spazio viene dato al profilo dell’informazione dell’utilizzatore del servizio di mediazione, su aspetti quali ad esempio la garanzia che le parti siano informate del fatto che non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale, o ancora garantire che il trattamento dei dati personali avvenga nel rispetto delle regole di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

L’attenzione del legislatore europeo dimostra ancora una volta che l’Unione Europea punta decisamente sull’utilizzo dell’ADR per la risoluzione delle controversie civili e commerciali ed anche se allo stato degli atti ci si ritrova ancora in una fase non matura dell’applicazione di detto genere di procedimenti, la direzione tracciata sembra muoversi verso un sempre più ricorrente uso delle pratiche di definizione alternative delle controversie.

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